Washington «Avevamo le mani legate» e «non abbiamo potuto aiutare gli italiani a salvare la vita di Moro». L’ammissione è dell’ammiraglio Stanfield Turner, direttore della Cia tra il 1977 e il 1981, ed è contenuta in una lettera datata 1° giugno 1978. Destinatario, Edward P. Boland, presidente della Commissione Intelligence della Camera dei rappresentanti. Poco più di tre settimane prima, il 9 maggio, il corpo di Aldo Moro era stato ritrovato in via Caetani, a Roma, crivellato da 12 colpi, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa.
La lettera di Turner, scoperta da il Giornale in uno degli archivi Cia desecretati grazie al Freedom of Information Act, riscrive, almeno in parte, la storia del coinvolgimento (meglio, del mancato coinvolgimento) dell’Agenzia di intelligence Usa nella vicenda del rapimento e dell’uccisione dello statista democristiano.
Per comprendere il clima che spinse Turner a compiere un gesto irrituale, scrivendo una lettera, senza attendere di essere convocato dalla Commissione intelligence della Camera, bisogna fare un passo indietro di tre giorni. Il 29 maggio, sul Washington Post, non certo una testata della destra conservatrice, era uscito un durissimo articolo che accusava la Cia di «avere respinto la richiesta di aiuto per Moro». A Langley avevano rispedito al mittente la «top priority request» che era stata avanzata dal Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza), il predecessore dell’attuale Dis. In realtà il dito veniva puntato soprattutto su una legge del 30 dicembre ’74 che proibiva le «operazioni clandestine in Paesi stranieri», a parte la normale raccolta di intelligence e salvo diverse indicazioni dal Presidente Usa. Le critiche investivano anche il Congresso che con il beneplacito dell’amministrazione Carter aveva imposto una serie di restrizioni.
Il rischio per Turner nell’accettare la richiesta italiana sarebbe stato quello di esporsi a uno scandalo o a una commissione di inchiesta. Le Br in base ad un Presidential Finding (valutazione presidenziale) stabilito mesi prima non erano coinvolte in vicende di terrorismo internazionale. Questo nonostante i sospetti che la stessa Cia aveva all’epoca sull’addestramento ricevuto da alcuni brigatisti in Paesi dell’allora blocco sovietico o su altri legami delle Br con sigle e organizzazioni straniere.
L’aiuto agli italiani nella vicenda Moro insomma rischiava di essere giudicato dal Congresso al pari di «attività di interferenza» nelle attività democratiche di un Paese straniero. Per fugare ogni dubbio Turner si decide a scrivere al Presidente della Commissione Intelligence.
«Vorrei assicurarmi che lei e la sua Commissione abbiate un quadro completo laddove vi fossero state impressioni sbagliate – scrive – Piuttosto che aspettare l’opportunità di riferire di persona alla Commissione ho pensato di cogliere questa opportunità per fornire alcuni commenti scritti».
Il documento sebbene desecretato è ancora parzialmente coperto da alcuni omissis ma un passaggio tra quelli oscurati appare chiaro: è quello in cui Turner scrive riguardo alla «nostra incapacità di agire rispetto all’assistenza» all’Italia nella vicenda Moro: «I fatti sono che abbiamo agito in maniera molto scrupolosa nell’assicurarci che qualsiasi azione intrapresa fosse in linea con le valutazioni presidenziali riguardo alla lotta al terrorismo internazionale – dice – C’era da tracciare una linea se Omissis potessero essere classificate come terroristi internazionali La valutazione è stata che non lo sono».
È questo quindi il passaggio chiave che spiega il rifiuto da parte della Cia di fornire assistenza all’Italia al di là del fatto che lo Psichiatra del Dipartimento statunitense inviatosi a Roma per tracciare un quadro psicologico sugli autori del rapimentoaMoro ma su cui negli annianni si è favoleggiatomoltoinricostruzionigiornalistiche.