Se un Extraterrestre Atterrasse a Roma....

Surreale a ogni inizio di legislatura, ritorna e si radica il dibattito sulle pensioni. Dalla Riforma Fornero in poi, è un braccio di ferro con la realtà sullo smontaggio, variamente motivato a destra e a sinistra, di una delle poche riforme di struttura fatte in Italia. Una legge nata con il governo Monti, in regime di default virtuale per i conti pubblici, che al netto dell’inevitabile rigidità iniziale e di sempre possibili (veri) miglioramenti, aveva il merito di declinare il principio di sostenibilità anche nel nostro regime pensionistico. E questo non pensando solo ai conti pubblici, in profondo rosso, ma anche e soprattutto alle prossime generazioni, che rischiano di non aver la propria pensione o di riceverne una caricatura.

Eppure, nonostante debito e crisi demografica, invecchiamento della popolazione e quant’altro, si dibatte di nuovo di regole e quote previdenziali. E si stenta francamente a capire l’accanimento della politica ad avviare al suicidio assistito il sistema pensionistico italiano, aprendo la strada all’ennesimo smantellamento di un caposaldo del welfare universalistico. Un autolesionismo incomprensibile frutto del miope approccio – fondamentalmente elettoralistico – al problema da parte di forze politiche impegnate, di volta in volta, a strizzare l’occhio a questa o quella categoria di elettori che si ritengono “propri”.

Ma tutto l’attuale dibattito su questo o quello che si potrebbe o si dovrebbe fare per “favorire” l’uscita dal lavoro – perché con le più varie motivazioni alcune sussistenti altre implausibili – guarda al dito e non alla luna. La “luna” è che il lavoro non è solo reddito ma fattore di completezza esistenziale della vita – sentirsi utili e vivi – e ce lo ricordano coloro che, a rischio di perderlo in giovane età, chiedono di mantenerlo per la propria “dignità” agli occhi di sé stessi e della società – ed è operativo oggi su una vita media molto più lunga che in passato. In Italia l’attesa media della vita è pari a 80 anni per gli uomini e 85 anni per le donne: è credibile al netto della sostenibilità dei conti andare in pensione a 60 anni? E ancora: è ragionevole spingere sul divano persone nel pieno delle forze e delle capacità acquisite per venticinque anni? Facciamo davvero loro un favore mettendoli su un divano quelli che hanno un lavoro mentre si discetta sul dover fare alzare dal divano i giovani che non ce l’hanno?

Un marziano sceso su Roma chiederebbe lumi su questo non senso. E magari sottovoce gli diremmo che è tutta una finta: mettere in pensione i lavoratori è consentirgli (magari anche in nero) ancora almeno un decennio prima del naturale ciclo vitale con alle spalle la sicurezza economica dell’assegno previdenziale… Il marziano allora capirebbe, telegrafando allora a Marte che non c’è niente da preoccuparsi: son solo i soliti italiani!

Sommessamente verrebbe da consigliare dunque che – al netto delle situazioni particolari come malattia cronica o precoce uscita – si tengano al lavoro gli italiani finché possibile impegnando corpo e spirito verso un esercizio personale utile agli altri. Va poi considerata la questione dell’“opzione donna” dove – pur se con le dovute considerazioni – il beneficio del numero de figli rappresenterebbe una discriminazione verso le donne senza figli: obiezione insostenibile se confrontata con la realtà concreta ed esistenziale delle donne stesse!

Resta dunque la domanda se mai possibile evidenze elementari trovino spesso solo cecità partigiana nella politica italiana; se mai arrivi il momento della serietà delle cose; se mai cresca il dovere collettivo verso la realtà più vera piuttosto che i propri interessati specchi.

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